Caro
G, i rumors sono diventati realta’: M mi ha detto che venerdi’
e’ il tuo ultimo giorno di lavoro! E’ impressionante! A pelle non mi sembra
molto che ci conosciamo, poi faccio 2 conti e sono passati piu’ di 30 anni! Una
generazione, anche abbondante. Mi ricordo una tua fotografia (chissa se riesco
a trovarla) con il Prof. Bernetti ai Fo’ ‘d Duna: era l’ottobre 1986, avevi figli
all’ora? Io non ero nemmeno sposato. Bernetti, forse, e’ ancora vivo.
Mi
viene in mente una frase di Pavese (sono andato a cercarla e la metto giu’
precisa): La vita dell’uomo si svolge
laggiu’ tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno
che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E’ un
fastidio alla fine […]. C’e’ una burrasca che rinnova le campagne – né la morte
né i grossi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo per star
vivi d’ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino,
fastidioso come mosche d’estate – questo è il vivere che taglia le gambe. E’
cosi’, no? Per trenta anni e passa abbiamo salito la stessa scala, abbiamo
battuto la stessa tastiera, abbiamo sentito 1000 volte gli stessi discorsi,
abbiamo avuto successi personali e pesanti sconfitte. Chissa quante volte
abbiamo fatto un buon lavoro e non c’era un cane che lo riconosceva, anzi
poteva capitare che molti dicessero “sta
a scaldare la cadrega e dobbiamo anche pagarlo…?”, o di peggio.
Ma
e’ andata cosi’. Cosa serve la Fede? Me lo chiedo nell’anno a Lei dedicato. Ci
aspettiamo tutto da Cristo o ci aspettiamo solo quello che decidiamo di
aspettarci, rendendolo spunto o sostegno ai nostri progetti o ai nostri
programmi? Cosi’ che se le cose vanno bene siamo contenti, se vanno male ci
lamentiamo: come tutti. Anche i pagani ragionano cosi’. Siamo cristiani lamentosi
che appiccicano Cristo e, qualche volta, siamo esasperanti, non redenti.
Certo
la cultura dominante e’ forte, ragioniamo tutti come i film americani, pero’
non siamo pirla: quando il Papa chiama riempiamo le piazze e le spianate del
mondo, bramiamo parole di vita eterna, poi – siamo fragili - ci accontentiamo
dei telefilm o dei libri cult.
Una
volta una signora mi ha raccontato che – quando si e’ accorta di aspettare
l’ultimo, terzo, figlio – voleva buttarsi dal balcone per la pesantissima
convivenza col marito. Tredici o quattordici anni dopo guardava il ragazzo
sognante e diceva: “que chi faria si eisa
nen as mat?” (che vita sarebbe senza questo ragazzo).
Cosa
sarei diventato se tutto (proprio tutto) fosse andato come volevo io? Sarebbe
stato bene o male per gli agricoli, i boscaioli e gli impresari della Valle?
Sarebbero piu’ felici? Vergognosamente felici? Sarei piu’ felice io? Non credo.
Il rapporto con il Mistero e’ vertiginoso diceva il don Gius. Fa’ venire le
vertigini. Il rapporto col Mistero,
oggi, e’ la vera questione di mio interesse. Per me e per quelli che incontro.
Che se ne rendano conto o meno.
Un
giorno saremo al cospetto del Padre: credo giudichera’ anche quanto abbiamo
fatto alla Comunità Montana. Lo fara’ sulle performance o su quanto abbiamo amato chi ci
veniva incontro? Sulle performance potremo anche barare: non siamo riusciti
perche’ c’era l’assessore che non capiva, la giunta che non deliberava, la
misura del PSR che non era giusta… A parte che bleffare con Dio deve essere
un tantino difficile, la questione del voler bene resta perennemente una ferita
aperta: non e’ solo questione di ascesi ci vuole anche la Sua grazia e non
possiamo che mendicarla.
Volevo
scrivere qualcosa a Te e forse ho fatto (confusamente) una sorta di verifica di
30 anni e passa di lavoro. Magari serve anche a Te. Ti auguro di tenere sempre
aperta la ferita in spregio alla cultura dominante che la vuole sempre chiusa.
Tuo.
K
K