giovedì 24 dicembre 2015

Natale 2015 - Abbandono, desistenza

Conosco bene l'uomo. Sono io che l'ho fatto. É uno strano essere. Perché in lui gioca quella libertà che é il mistero dei misteri. Gli si può ancora chiedere molto. Non è troppo cattivo. Ma quel che non  gli si può chiedere, Dio buono, é un po' di speranza, un po' di fiducia, insomma un po' di distensione, un po' di resa, un po' di abbandono nelle mie mani, un po' di desistenza. Lui si irrigidisce sempre.

C. Peguy "Il mistero dei santi innocenti"

Chiesetta Santa Maria Nascente - Pella (NO) giugno 2014

Perche', insieme, dentro la grande storia dove il Mistero ha voluto farci capitare, ci insegnamo a non irrigidirci troppo.

Buon Natale e un 2016 ricco di abbandono

domenica 29 novembre 2015

Cesare, il piemontese


Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perche' attendiamo? 
Cesare Pavese - Il mestiere di vivere

Sono del '54

Io sono del ’54. Quando avevo 7/8 anni, mio padre prese una decisione storica, compero’ una roulotte Roller da 4 posti. La mamma, casalinga e non avventurosa, era quasi disperata. Avevamo una Renault Dophine 850: foto non ne trovo, mi spiace, era uno spettacolo. L’avventuriero sentenzio’: “questa estate andiamo in Yugoslavia, a trovare il Gianni”. Questo Gianni era un suo amico un po’ strano: cacciatore e pescatore, metteva sempre braghe alla zuava, aveva sposato una francese e non amava la gente. Con l’auto e la tenda alternava un anno in Scozia, e uno sulla costa Dalmata, sempre lontano dalla folla, spesso, in isole quasi deserte.

Doveva essere “una” l’estate yugoslava, sono diventate “tre”: “Prima del mare andiamo a Plitvice!”.  Oggi Plitvice e’ un Parco Nazionale della Croazia: 16 laghetti magnifici che si uniscono con cascate, immersi in una foresta di faggi. A quei tempi la Yugoslavia era una, quindi, ottenuto il visto, roba non immediata, si poteva andare dove si voleva, o, si poteva, perche’ le strade erano un disastro, i campeggi non c’erano, si doveva fare la coda per comperare il pane e la mamma aveva paura a dormire in qualche spiazzo. Noi no.



Mio fratello, io e i genitori partivamo la mattina presto da Biella,  la sera si arrivava a Trieste (davvero…), si cercava un parcheggio vicino una pompa di benzina e si dormiva lì. Il giorno dopo si passava la frontiera, sempre con un po’ di ansia, i poliziotti yugoslavi scrutavano dentro l’auto con facce quasi cattive…

Nel giro di un km, cambiava tutto. La prima volta ci ha fatto visitare un camposanto per farci toccare con mano che nemmeno l’alfabeto era come il nostro. Il vecchio era geniale! Strade sterrate, salite, polvere. Guidava sempre lui, la mamma aveva la patente ma niente l’avrebbe convinta a mettersi su quelle piste. Nonostante il caldo i finestrini erano sempre chiusi ma ci permetteva di aprire il “deflettore”: lui lo chiamava cosi’, sulle macchine moderne non mi risulta ce ne siamo, era un pezzo di vetro triangolare che si apriva a compasso.

Il tardo pomeriggio arrivavamo a Plitvice. Lì il campeggio c’era, forse il piu’ attrezzato della Yugoslavia. Correndo ci scarnificavamo le dita dei piedi sbattendo contro i picchetti delle tende.  Tutti i giorni facevano una capra intera allo spiedo che poi vendevano a tranci ai campeggiatori. Tutti tedeschi, almeno mi ricordo cosi’. Poi c’era il Gianni, la moglie savoiarda e 2 figlie femmine che parlavano sia l’italiano che il francese e questa roba mi dava un po’ sui nervi perche’ non capivo tutto. Mio fratello se ne infischiava del bilinguismo delle nostre amiche.


Nel campeggio c’era un molo di legno che entrava nel lago. Una sera un tedeschino mi chiama, mi fa guardare l’acqua come se avesse visto un alligatore, mi abbasso e il bastardello mi butta dentro… Sapevo nuotare...

venerdì 23 ottobre 2015

Romaria - Nossa Senhora de Aparecida

Clicca per ascoltare il canto: https://www.youtube.com/watch?v=0nHo-lIJ4hM

É se sonho e de pó
O destino de um só
feito eu, perdido em pensamento
sobre o meu cavalo.
É de laco e de nó
de gibeira o jiló
dessa vida sofrida a sol.

Sou caipira pirapora.
Nossa Senhora de Aparecida
ilumina a mina escura
e funda o trem da minha vida. (2 v.)


O meu pai peão,
minha mãe solidão,
meus irmãos perderam-se na vida
em busca de aventuras.
Descasei, joguei,
investi, desisti,
se hà sorte, eu não sei, nunca vi.

Me disseram, porèm
que eu viesse aqui
p’ra pedir, de romaria em prece,
paz nos desalentos.
Como eu não sei rezar,
só queria mostrar
meu olhar, meu olhar, meu olhar. 

Nossa Senhora de Aparecida - Stato di San Paolo Brasile


È sogno e polvere il destino di un uomo solo come me, perso nei miei pensieri, sul mio cavallo. È destino di lazzo e nodo, di poveri calzoni da festa e gilet, di questa vita sofferta in solitudine. Sono un abitante dell’interno (della campagna), Signora di Aparecida (santuario vicino S. Paolo del Brasile), illumina l’oscura miniera e fondi le basi della mia vita. Mio padre era un "peao" (bracciante), mia madre era la solitudine, i miei fratelli si sono dispersi cercando l’avventura. Sono divorziato, ho giocato, ho investito, poi ho abbandonato. Se esiste la fortuna, non lo so, non l’ho mai vista. Mi hanno detto però di venire qui, in pellegrinaggio, in preghiera, per chiedere la pace nelle mie disavventure. Ma dal momento che non so pregare, sono venuto semplicemente a mostrare il mio sguardo.

Non siamo forse tu e io, amico mio, gli uomini di lazzo e nodo, di poveri calzoni? Non abbiamo altro che lo sguardo... 

martedì 19 maggio 2015

Bсе наоборот, altrimenti, tutto al contrario

Stiamo parlando dei primissimi tempi del Cristianesimo.

«Sono convinto che la forza di persuasione della setta cristiana  si basasse soprattutto sulla capacità di ispirare gesti che lasciavano a bocca aperta, gesti − e non soltanto parole − che contrad­dicevano i normali comportamenti degli uomini. Gli uomini sono così, non c’è niente da fare: i migliori tra loro vogliono [...] bene agli amici, e tutti vogliono male ai nemici; preferiscono essere forti anziché deboli, ricchi anziché poveri, grandi anziché piccoli, comandare anziché obbe­dire. È così, è normale, nessuno ha mai detto che era male. Non lo dice la saggezza greca e nemmeno la religione ebraica. Ora saltano fuori degli uomini che non soltanto dicono, ma fanno esattamente il con­trario.  All’inizio nessuno ne afferra la ragione, nessuno capisce a che giovi quell’assurda inversione di valori. Poi qualcuno comincia a ve­derci chiaro. Comincia a capire a cosa giova, ossia quanta gioia, quanta forza, quanta intensità guadagna la vita da quella condotta in apparenza insensata. E allora non ha più che un unico desiderio, fare come loro».

E. Carrère  Il Regno, Adelphi, Milano 2015, p. 148



giovedì 30 aprile 2015

Frodo e Pipino ovvero Allevatori Locana e Caseificio Elvo

Tra le colline del Canavese e il Gran Paradiso, in una valle verdissima d’estate, bianchissima d’inverno, c’e’ il paese di Locana con 7 aziende agricole che producono latte. Le cascine sono piccole, la produzione non troppa, la strada in montagna… cosi’, alla fine del 2014, il caseificio che raccoglie in valle (e paga poco) manda alle aziende la disdetta: dal 31 marzo 2015.

        Non facile risolvere la situazione. Per fortuna gli allevatori hanno un amico, il tecnico della Comunita’ Montana Valle Orco, Paolo Rolando, uno mica abituato ad abbattersi. Chiama tutti quelli che potrebbero dargli un aiuto e, alla fine, quasi al fondo della sua agenda, trova il Gianni (Longo), il Presidente del Caseifico Coop Valle Elvo di Occhieppo Superiore (BI): 4 milioni e passa di litri lavorati all’anno, non mao mao micio micio.


         “Gianni, come faccio? Cosa dico alla mia gente? Dammi una mano”. Cosi’ il Gianni lo invita nel “suo” stabilimento e parlano un bel po’. La settimana dopo ancora: loro due, piu’ altri che avevano invitato. Gianni vola a Locana a vedere le aziende e conoscere le persone. Paolo, provette alla mano, raccoglie il latte stalla per stalla, quasi vacca per vacca, e lo manda all’analisi: se si puo’ si aiuta, ma il latte deve essere “impeccabile”.

Gianni e soci si appassionano alla storia degli smarriti colleghi canavesani, cosi’ un giorno invitano a pranzo al caseificio – agghindato per l’occasione - i nuovi amici che arrivano con l’assessore del comune. Dopo il caffe’ riunione plenaria, volano parole grosse: soci in prova, raccolta del latte in valle, nuovo formaggio… chiamiamolo… Gran Paradiso… Ancora un incontro. Questa volta c’e’ anche il sindaco di Locana. Gianni e Paolo si sentono 2 volte al giorno… per tutto l’inverno.

Pian piano le prime idee buttate giù all’ingrosso, sembrano diventare percorribili e anche il terribile socio amministratore della Latteria, l’uomo della borsa, il ragionier Mario-niet, si lascia prendere dal clima euforico e dà il suo ok. Chi ci avrebbe creduto…

Si compra anche un (quasi) nuovo camion con serbatoio ma un autista che vada 2-3 volte la settimana lassu’ proprio non si trova. Il Gianni ha un asso nella manica, anzi una “patente piu’ CQC”: “se nessuno vuole andare, ci vado io!”. Un classico passaggio dalla storia al mito, come Frodo Baggins quando ha ricevuto l’anello.

Insomma, cosa sta capitando dal 1° aprile? Tenetevi forte, e stupiscano soprattutto quelli che sanno qualcosa di rapporti tra agricoli. I magnifici 7, anche con l’aiuto del Comune, daranno vita a un soggetto unico: Gruppo Allevatori Locana o qualcosa di simile. Diventeranno “soci in prova” della Coop di Occhieppo Superiore, anche per un tempo piu’ lungo della norma. Il Caseificio salira’ a raccogliere il latte e lo mescolera’ a quello dei soci storici (una trentina). I costi della lunghissima e tortuosa trasferta verranno coperti in parte dai nuovi soci, in parte dal Caseificio. Nel frattempo, solo con il latte canavesano, si faranno prove tecnologiche per produrre un formaggio che abbia caratteristiche e nome “riconoscibili” che dovranno soddisfare le aspettative (tecnologiche, organolettiche e commerciali) di entrambi i partner. Quando tutto sara’ a punto lo si registrera’ e su questo ci sara’ la griffe  di Gimo Cunico, maestro casaro conosciuto in tutto il mondo.

I locanesi hanno una chance: il passaggio dei turisti che vanno a sciare o a far merenda al Parco nazionale. Intercettare questi e vendere loro i prodotti del Valle Elvo e’ l’altra scommessa. Li devono informare, intrigare, provocare, stuzzicare, ingolosire di modo che, la tappa in paese, diventi una specie di Salone del Gusto della Valle Orco. Naturalmente vendere burro, formaggio e ricotta non si puo’ su un tronco facendo il conto con il pallottoliere, ci vogliono gli strumenti adeguati. Il Caseificio li puo’ imprestare. La voglia di mettersi in gioco e la strategia deve essere pero’ dei valligiani: non l’hanno mai fatto? Anche la Compagnia dell’anello ha dovuto combattere contro Sauron e Gollum: di sicuro, i gitanti, non sono cosi’ pericolosi...

Ma non basta. Con il tempo e qualche attrezzatura d’occasione, il formaggio, ideato e prodotto esclusivamente con il loro latte, se lo dovranno fare. La Coop mandera’ un casaro che insegnera’ a un giovane il mestiere, cosi’ verra’ meno la necessita’ di quel trasporto latte poco sostenibile e il giovane prescelto avra’ un mestiere in mano.


Se tutto funzionera’ si saranno raddrizzate diverse situazioni. Salvataggio delle aziende. Valorizzazione del latte valligiano e nascita di un formaggio “futuribile che contiene la tradizione”. Vendita di questo e di tutti i prodotti del Caseificio, direttamente al cliente con una sorta di secondo spaccio in… Paradiso. Nascita di un minicaseificio per evitare il lungo trasporto: aumento dei costi, peggioramento della qualita’ del latte, la spussa, il particolato del camion, la polverina dei freni... Un sodalizio “di ferro” tra gente di montagna testimoniato dal numero dei caffe’ (alcolici vietati dal Codice della strada) che ogni settimana il Gianni si sorbira’ dai nuovi soci.


        Solo vantaggi? I partner sono realisti: il diavolo ci mettera’ la coda. E’ realistico e scontato, lo si sa in partenza. Occorrera’ vigilare che egoismi da entrambe le parti (cosa umana quanto mangiare o fare pipi’) non prevalgano su una storia bella e pericolosa come quella di Gianni-Frodo, di Paolo-Pipino, dei loro amici, e... dell’anello.




domenica 5 aprile 2015

Pasqua 2015 - Non fatemi dormire

Piero della Francesca - Resurrezione - Sansepolcro (AR)

In fondo è tutto qui: domandarsi se ci sia un senso in questo cielo striato di nubi, in questi monti coperti di neve, in questi uomini e donne che stanno accanto a me; in quello che fanno, in quello che faccio io, se valga la pena cercare qualcosa di più, che vada oltre il vivacchiare e procurarsi l’ultimo telefonino.

Se non c’è un senso allora lasciatemi dormire, in questa sera di primavera chiara che sta passando e non ritornerà più. Niente di quello che ci circonda dura, neanche noi. 


Tu guardi i tuoi figli, chi o cosa ami, le cose che hai fatto con le tue mani, e sai che spariranno: la battuta ironica è come il ghigno del teschio. 


Ma ogni minuto che si vive ci dice che il senso c’è, e negarlo è la più evidente menzogna.
Se c’è un senso, qual è?


Entriamo dal portone, saliamo al piano di sopra. Un uomo sta bevendo del vino e spezzando del pane con gli amici. Tra poco tenteranno di ucciderlo, e ci riusciranno. 


Se fosse rimasto morto, forse quel senso ci potrebbe ancora sfuggire. Ma non è restato nella tomba. Ne è uscito, e ci ha detto: quello che c’è non finisce. E tu (sì, tu che stai leggendo) hai un senso.


No, non fatemi dormire stasera, perché la vita è da vivere.


(C. S. Lewis, Berlicche - Il Cielo Visto dal Basso) 


Buona Pasqua k

domenica 15 febbraio 2015

Il mondo è divenuto cristiano

Il mondo greco e romano non si è convertito a nessuna delle religioni orientali che, a turno o simultaneamente, hanno sollecitato la sua adesione; non si è convertito alla filosofia, malgrado la predicazione e gli esempi degli stoici e dei cinici; non si è convertito al giudaismo, nonostante la propaganda della legge mosaica; ma si è convertito al cristianesimo.


Il buon pastore - Roma Catacombe di Priscilla
Una trentina d'anni dopo la morte del Signore era possibile fare gia, nella comunità di Roma, una moltitudine immensa di martiri; e all'inizio del II secolo, un funzionario integro come Plinio il Giovane, aveva il diritto di dichiarare che, nella sua provincia di Bitinia, la nuova superstizione aveva invaso non solo le città, ma anche i borghi e le campagne. È stato senza dubbio scritto che, se il mondo non fosse divenuto cristiano, sarebbe diventato mitriaco (cfr F. Cumont, Textes et monuments figurès relatifs aux mysteres de Mithra, Bruxelles 1896, pp 276/277). A dire il vero noi non ne sappiamo niente e soprattutto resta il fatto che non è divenuto mitriaco, mentre è divenuto cristiano e lo è rimasto per molti secoli. La rapidità e la profondità di questa conversione sollevano gravi problemi e, prima di ogni altro, questo: perchè il cristianesimo è riuscito là dove son falliti tutti gli altri tentativi di trasformazione o di conquista degli spiriti antichi?

Gustave BARDY (1881 - 1955) La conversione al cristianesimo nei primi secoli - Jaka Book Milano 1981, p 121

giovedì 15 gennaio 2015

NON SONO CHARLIE



Prendo da Tempi.it e faccio mio, questo giudizio che, mi pare, il piu' pertinente tra quelli visti sino a ora sulla questione Charlie Hebdo e sue conseguenze.
 
Non mi faccio illusioni sugli effetti che avrà questa mia protesta ma desidero comunque avanzarla, sapendo che un buon numero di gesuiti della mia comunità prova le stessa cose anche se non può o non osa esprimersi». Comincia così la lettera di protesta che padre Jean-François Thomas, gesuita francese, ha inviato all’autorità competente della Compagnia per protestare contro la rivista dei gesuiti Études.


 «SCHIODATEMI». Questa infatti, per dimostrarsi vicina alle vittime dell’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo, ha deciso di «ripubblicare qualche caricatura [del settimanale satirico] che riguarda il cattolicesimo» per esprimere «solidarietà ai nostri fratelli assassinati e alle altre vittime». Una delle quattro vignette ripubblicate mostra Gesù che chiede di essere «schiodato» per partecipare al conclave, in un’altra appare Benedetto XVI in versione gay che esclama «finalmente libero» dopo aver rinunciato al soglio papale. La rivista dei gesuiti francesi però non ha avuto il coraggio di pubblicare quella più celebre, con le tre persone della Trinità intente a sodomizzarsi a vicenda.

«LIBERTÀ DI BLASFEMIA?». «Noi non condividiamo, spero, nessuno dei “valori” ordinari di questo settimanale», scrive padre Thomas, secondo il quale «l’orrore dell’attentato non può» far dimenticare che «la libertà di espressione non è la libertà di offendere giorno dopo giorno i credenti e di commettere blasfemia contro Dio stesso». Il gesuita precisa che «non c’è alcun bisogno di una legge contro la blasfemia», basterebbero «buon senso, buon gusto e rispetto». E se «l’umorismo, anche sgradevole, può far ridere», la volgarità «eretta ad assoluto fa piangere e non fa che attirare ancora più odio».

LA COMPAGNIA NON È CHARLIE HEBDO. L’ultimo numero di Charlie Hebdo ne diceva di tutti i colori su Dio, Maria e la nascita di Gesù. Si può discutere sul diritto del settimanale di pubblicare blasfemie, «ma che una rivista della Compagnia lo faccia è scandaloso. La peggiore è quella su Benedetto XVI perché è quasi diffamatoria. Quanto alla violazione del dramma della Crocifissione, è spregevole. Non credevo che certi gesuiti potessero ridere di un soggetto del genere. Io personalmente piango ogni giorno a causa del mio peccato e di tutte le sofferenze vissute sulla carne da tanti cristiani perseguitati, molto meno difesi dalla redazione di Études».