domenica 21 dicembre 2008

Natale 2008 - Un imprevisto

Ieri mattina, verso le cinque, pensavo che, fra 2-3-5 anni, potrei scrivere un libro dal titolo (forse un po' complicato) "Pedalate tra la Padania e le Alpi: 100 itinerari (e pensieri sul Destino) da Biella alla Slovenia"(!). Pero' ci vogliono le foto. Cosi' ho deciso di incominciare dalla Pieve di S. Stefano a Lenta (VC). Ho inforcato la bici e ci sono andato: il risultato non sara' da grande professionista ma, per cominciare, basta.



Poi, pensando al primo capitolo del libro, mi e' venuta in mente la grande poesia di Montale "Prima del viaggio".

Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano
le guide Hachette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio s'informa
qualche amico o parente, si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si da' un'occhiata al testamento, pura
scaramanzia perche' i disastri aerei
in percentuale sono nulla;
prima
del viaggio si e' tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto e' O.K. e tutto
e' per il meglio e inutile.
E ora che ne sara' del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla.
Un imprevisto e' la sola speranza.
Ma mi dicono
ch'e' stoltezza dirselo.


(E. Montale in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1984)

L'unica novita' e' il MISTERO, come, tante volte, Don Giussani diceva. Tutto il resto e' scontatezza. Il Natale e' la festa della Novita'.

Auguri da Costante, Annamaria, Valeria, Matteo, Yulia

domenica 17 agosto 2008

E-mail al Ministro Brunetta

Sempre sul tema del lavoro, pubblico l'e-mail che ho scritto al Ministro.

Inviato a r.brunetta@governo.it
Il 14 agosto 2008 ore 10.13

Chiarissimo Signor Ministro, sono l’agronomo della Comunita’ Montana Alta Valle Elvo. Questa si trova tra la provincia di Biella e la Valle d’Aosta. Stamane mettevo al corrente il Segretario dell’Ente, sull’attivita’ dell’ufficio del quale sono titolare da 27 anni. Avevo 27 anni nell’1981 quando sono arrivato, oggi ne ho 54: meta’ vita fuori e l’altra meta’ dentro la Comunita’. Il Segretario ha visto l’ultimo articolo al sito dell’Ufficio agro-forestale (quello sulle borse di studio) e mi ha suggerito di metterLa al corrente di quanto si sta facendo e di quanto si e’ fatto in questi anni. Il sistema piu’ comodo e’ quello di inviarLe alcuni links. Sono il primo a essere convinto che alcune cose sono immensamente noiose da leggere: la somma dei programmi annuali dal 1981 al 2007, in questo senso, e’ un capolavoro. Ma e’ tutta una vita professionale descritta.

Le auguro una proficua permanenza al Ministero e un sereno periodo feriale, anche a nome dell’Assessore Rinaldo Finotto.

Costante Giacobbe

Si vedano i siti:

http://agroforesteelvo.blogspot.com

http://agroforesteprogrammi.blogspot.com

http://manzove.blogspot.com

sabato 16 agosto 2008

Noi biellesi lavoratori

Sempre a proposito del "lavoro" ecco alcuni aforismi, coniati non so da chi, ma imparati - quasi tutti - dal mio amico Ercole Morino, grandissimo e intelligente "lavoratore" (mia libera traduzione dal piemontese).

Ai pulitich parlu tant e fan mai gnente. Nui parluma poch e fuma tant.

I politici quando parlano incantano, ma alla fine non concludono niente. Noi (bonta' sua), che siamo cresciuti con la cultura del lavoro, facciamo tanto senza parlare.

As fa mai al travai due vote o anche As pia nen an man al travai due vote, as va vanti pre fac.

Non si prende in mano il lavoro due volte: si costruisce, si chiude e si prosegue sul costruito.

Venta cerche da fe tant travai e poca fatiga, ti 'nvece tfe' tanta fatiga e poch travai.

Bisogna trovare il sistema di fare molto lavoro e poca fatica. Tu [cosi’ operando] fai tanta fatica e poco lavoro: per insegnare un metodo servono “i maestri”.

A l'ha nen dimetusi al Signor dan tla cros.

Non si e’ dimesso il Signore dalla croce

Dumse da fe. Da chi dui ore l'e' gia ses ore, da chi dui di' l'e' gia mercu.

Non perdiamo tempo. Tra due ore sono le sei (del mattino) e tra due giorni e' gia' mercoledi'. Questo ultimo aforisma mi e' stato suggerito dal mio buon amico e collega (dottore agronomo) Adriano Belliardo da Roccabruna (CN)

venerdì 15 agosto 2008

Il lavoro: c'e' un mondo da finire

Oggi, festa dell'Assunzione di Maria SS., oso mettere a tema "il lavoro". Il tempo dell'azione (anche un pensiero e' un'azione, ci ricordava sempre Don Giussani), dal risveglio a quando ci si addormenta di nuovo. 16-18 ore al giorno: ufficio, famiglia e tutto quello che si riesce a fare per collaborare con il Padre a completare il mondo e la nostra vita. Lo faccio pubblicando 2 "pezzi". Il primo e' di Padre Michail Scik: ebreo russo, convertito all'ortodossia, diventato sacerdote, mandato al confino, nuovamente arrestato e fucilato nel famigerato poligono di Butovo (sud di Mosca), il 27 settembre 1937. Il secondo e' di Don Massimo Camisasca: prete lombardo, allievo di Don Giussani, fondatore della Fraternita' Sacerdotale S. Carlo Borromeo, che ha sede a Roma. Saro' grato a chi collaborera' a rendere ancora piu' importante questa trattazione.

Ricordando mio padre
di Elisaveta Scik

Vorrei citare alcuni brani di una lettera di padre Michail proprio ad Anna Dmitrievna, la sorella della mamma: «Credo di capire la tua malattia, perché l'ho vista anche in Natasa nei primi anni della nostra vita matrimoniale. Lei ne è guarita grazie alla maternità… Stai male perché il lavoro non ti da la pace interiore che deriva dalla coscienza del dovere compiuto..., ma al contrario ti rende inquieta. Tu stessa stai giustamente scoprendo che una delle cause di questa inquietudine è che affronti il tuo lavoro con un ardente senso di amor proprio. Questo sentimento non trova mai (il corsivo e' dell'autore) soddisfazione e instilla inquietudine nel tuo cuore...


Padre Scik - foto segnaletica per il carcere

Nell'opera della nostra salvezza il lavoro, che vince tutte le tentazioni legate all'ozio, è molto importante. E’ importante, ma non deve stare al primo posto. Il primo comandamento che ci ha dato il Signore è: "Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima", ossia rendi il tuo cuore, il tuo edifìcio interiore, un altare, dove venga glorificato incessantemente il nome di Dio. Di conseguenza, il primo dovere del cristiano è stare attento a se stesso, e tenere in ordine l'altare del proprio cuore con la preghiera e l'amore al prossimo, che è il secondo precetto evangelico. Il lavoro, invece, viene dopo, e pecca gravemente contro le regole di una sana vita interiore cristiana chi nelle proprie premure e nel proprio agire mette il lavoro a un posto che non gli spetta. Così facendo, neppure il lavoro ci guadagna ma, anzi, viene inevitabilmente infestato da pensieri, sentimenti e desideri vani…

Ho detto che il lavoro è solo al secondo posto, sì, proprio al secondo, ma non al terzo, al quarto…, perché se lo si fa retrocedere dal secondo posto, nel vuoto che ha lasciato, si insinuano la pigrizia, la trascuratezza e altri vizi... In cosa consiste, allora, un atteggiamento coscienzioso dal punto di vista cristiano verso il proprio operare? Nel fare tutto ciò che è richiesto, e anche di più, senza lesinare gli sforzi, ma anche senza fissarsi sui risultati».

“La Nuova Europa” trimestrale RC Edizioni, n° 4-2008 pag. 75 – Seriate (BG)

Il lavoro, la strada per imparare ad amare
di Massimo Camisasca

Il secolo ventesimo sarebbe dovuto essere il secolo del lavoro. E, in un certo senso, lo è stato. Il lavoro è diventato tema di studi, di lotte, di guerre, ha segnato la nascita di partiti e di associazioni. Interi movimenti che hanno attraversato il secolo si sono ispirati alla promozione dei lavoratori, come, per esempio, il movimento comunista, quello socialista e quello cattolico. Ci sono stati però anche milioni e milioni di lavoratori uccisi, perché non rientravano nello schema della rivoluzione programmata. Il nazismo, poi, ha fatto scrivere sarcasticamente sulla porta di Auschwitz «il lavoro rende liberi». Anche la Chiesa ha parlato di lavoro ai lavoratori. Soprattutto dopo Leone XIII, esso ha occupato una parte importante nella dottrina sociale che si è andata sviluppando e diffondendo anche attraverso le grandi encicliche di Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, e Paolo VI.
Ma, più in generale, il novecento ha visto, soprattutto nella sua seconda parte, un grande offuscarsi del senso e del gusto per il lavoro. Ritengo che questo sia uno dei mali più gravi della nostra società. Perché qualunque vocazione si abbia, il lavoro decide della nostra vita. Quando manca il lavoro, l’uomo non può esprimere se stesso, perde il rapporto con la realtà, non si sente amato e non ama.
È stato certamente uno dei tanti meriti del magistero di Giovanni Paolo II, che era stato operaio negli anni della sua giovinezza, di riportare al centro dell’attenzione degli uomini la realtà del lavoro e della sua contraffazione. E certamente vi è una profonda similitudine tra ciò che ha detto Giovanni Paolo II e il cuore del magistero di don Giussani sul lavoro, raccolto nel volume L’io il potere, le opere.
Dedichiamo al lavoro questo numero di Fraternità e Missione di luglio, mese estivo, mese di vacanza, proprio perché in vacanza possiamo pensare al senso del nostro tempo lavorativo.

I. Un rapporto creativo
Il lavoro dell’uomo, qualunque esso sia, non riguarda un aspetto marginale della sua personalità. L’uomo matura attraverso il lavoro, perché attraverso di esso prende coscienza di se stesso e della realtà, da cui dipende, ma che può anche contribuire a cambiare e a trasformare. Si capisce perciò come mai il lavoro coincida con la nostra vocazione.
Quando la persona non è stata educata a lavorare, o di fatto non può lavorare, rimane come rattrappita, si chiude su se stessa, non conosce più la vita e la promessa d’infinito, la speranza che vi è contenuta. Invece, attraverso il lavoro l’uomo entra in rapporto con le persone e le cose. Accade sempre così, sempre l’uomo necessita di un rapporto creativo con la realtà.
Il suo conoscere se stesso e il mondo procedono assieme.

II. Purificazione
Quando Adamo ed Eva vengono cacciati dal paradiso terrestre, Dio, che aveva posto l’uomo nel giardino dell’Eden perché lo custodisse e lo coltivasse (Gn 2,15), rivolge a loro delle parole molto significative e terribili. Dice che a causa della loro disobbedienza, il suolo della terra sarebbe stata maledetto. Avrebbe dato ancora i suoi frutti, ma attraverso il duro lavoro. Il pane avrebbe richiesto il sudore del volto (Gn 3,17-19). Proprio queste parole ci spiegano la stretta relazione fra l’uomo, il lavoro, e Dio. Non soltanto attraverso il lavoro conosciamo noi stessi, non soltanto partecipiamo all’opera della creazione, ma, più in profondità, realizziamo quella purificazione che ci fa tornare a Dio. Dio ci chiama a servire il suo disegno attraverso il lavoro.
Il lavoro non è dunque soltanto condanna. Non è soltanto fatica, peso. Tutto ciò è una condizione inevitabile, ma non l’essenza. Purtroppo oggi molti sono chiusi a una considerazione intera del lavoro, e vedono soltanto la fatica, e cercano di sfuggire ad essa. Ma in questo modo, sfuggono alla loro crescita umana. L’uomo infatti non ha mai un rapporto soltanto speculativo con la realtà, e neppure uno ludico. Non pensa soltanto e non gioca soltanto, ma vuole anche creare e trasformare. Per questo Dio ha creato un mondo incompiuto e ha affidato all’uomo il suo compimento.

III. Entrare nell’opera di Dio
Ma ancora di più, per coloro che credono, che sono stati battezzati, il lavoro è la strada fondamentale per la loro partecipazione all’edificazione del corpo di Cristo. Attraverso di esso, quando è vissuto nella memoria di Cristo, le cose ritrovano lentamente il loro posto, le persone il senso della loro vita, il creato l’unità perduta nel peccato originale. Non è un caso che san Benedetto abbia legato la preghiera al lavoro, vedendoli non come due momenti successivi della giornata, ma come due espressioni della nostra vita che si integrano e si correggono a vicenda. Non si può vivere infatti solo per lavorare, non si può sacrificare tutto al lavoro. Esso non è un bene assoluto, serve in quanto porta l’uomo a collaborare al disegno del creatore, ad entrare nell’opera di Dio, a partecipare all’edificazione del Regno. Per questo il silenzio all’inizio della giornata ha un peso decisivo ed è ancora più importante di quello della sera.
Il desiderio del lavoro unito a quello del giusto riposo è l’espressione di una vita cristiana sana. Non ci può essere vita cristiana senza desiderio di lavoro. è per me un’esperienza terribile vedere persone che hanno come ideale della vita lavorare meno, o non lavorare affatto, persone terrorizzate dalla fatica, che non sentono bruciare dentro di sé la passione per l’incompiutezza del mondo.

IV. Servire Cristo
Il lavoro è la strada fondamentale della nostra partecipazione all’edificazione del corpo di Cristo. Questo è infatti il senso esauriente dell’esistenza: servire Cristo.
La strada per imparare ad amare è cominciare a servire. È proprio la quotidianità del servire che fa entrare nel ritmo dell’amore. Il ritmo dell’amore vero, dell’amore maturo, è la fedeltà. Soltanto il servire fa entrare in questo ritmo. A poco a poco non ci si accorge quasi neanche più di servire. Ci si accorge soltanto di amare.
Attraverso questa strada, la quotidianità del lavoro, si realizza la cosa più grande che esista al mondo: si impara ad amare Cristo.

Fraternità e Missione, il mensile della Fraternita san Carlo
luglio 2008

giovedì 7 agosto 2008

Come sono diventato biker


9 agosto 2008 sul Canale Cavour, foto del mio socio Michele Defrancesco

Caro Paolo, a cinquant’anni e passa, dopo qualche altra esperienza sportiva, sono passato al ciclismo. Anche il motorino, che lo scorso anno mi ha appassionato, lo trovo oggi meno entusiasmante. Ho cominciato per caso. Una sera, verso le sei, sono tornato a casa dal lavoro, stanchissimo e annoiato. Cosi’ – per svagarmi - sono andato nel fienile, utilizzato come deposito, e ho tirato fuori la vecchia economica mountain bike di mia figlia. Probabilmente erano 7-8 anni che nessuno la usava e comunque, anche negli anni d’oro, era stata usata pochissimo. Con l’indispensabile aiuto del mio amico Lido, che a casa ha un’intera officina e la sa usare, nel giro di 2 ore, la bici era come nuova: ero raggiante!

Per la verita’, nella primavera di questo anno, con alcuni amici, avevamo gia’ fatto un piccolo tour con mtb in affitto: il giro del Lago di Candia (TO). Forse e’ stato quel giorno che ho ripensato, dopo 40 anni, al velocipede come strumento d’avventura.

Nelle settimane successive ho incominciato a utilizzarla spesso. La trasportavo nel bagagliaio della Fiesta, o in quello della Touran, ma c’e’ il pericolo di rovinare l’auto. Poi ho i tendini della spalla destra che sono un po’ stracchi: infilare la bici nel portellone, alzarla, farla scorrere, mi faceva male. Cosi’ mi sono deciso a comperare un portabici svedese (costa un’occhio), da appendere al portellone posteriore. Non ti dico che fatica a montarlo. Si e’ messa anche la Yulia ad aiutarmi: le istruzioni non le voleva leggere, tutto intuito femminile, veniva buio, volevo piangere dalla rabbia. Alla fine e’ andato tutto a posto, ma sono andato a letto che mi tremavano le mani.

Pedalo quasi esclusivamente in pianura, siccome abito in montagna, carico “il mezzo” e parto. Di solito faccio 30-50 km in macchina, arrivo nei paesi della prima pianura vercellese o novarese, monto sul sellino e riparto. La penultima uscita stavo percorrendo la strada che va dalla centrale nucleare di Trino a Livorno Ferraris (VC), ad un certo punto si attraversa il Canale Cavour. Ero stanco e accaldato, cosi’ mi sono fermato a guardare l’acqua. Vicino al ponte c’e’ un grande partitore, cosi’ , cercando di ricordare qualcosa dell’esame di “idraulica agraria”, fatto con grande successo - l’unico 30 e lode della mia carriera -, ho pensato a quanti sacrifici umani, tecnici ed economici, deve essere costata quest’opera straordinaria. I giorni seguenti, girando su internet, ho scoperto che, in Provincia di Novara, molte strade d’alzaia (quelle che fiancheggiano il canale), sono state trasformate in piste ciclabili. Cosi’ mi sono riproposto di percorrere tutta questa grande via d’acqua: da Chivasso al Ticino. Dal cuore del Piemonte alla Lombardia… a tappe, naturalmente.

Sabato scorso sono andato a Recetto (NO, vicino a Ondaland), ho inforcato la bici e sono arrivato al Sesia: volevo vedere come il Canale attraversa il fiume. Ho visto, mi sono stupito dell’ingegno umano e sono ripartito alla grande (16-18 km/h di media… non mao mao micio micio!). Putroppo non ho tenuto conto del crak strutturale dei copertoni. Gomma a terra. Ho pensato a una perdita dalla valvola, una foratura per una spina di robinia… Sta di fatto che, dalle 11 di mattino, dopo essere andato a mangiare un panino e a cercare un ciclista sino a Novara. Non averlo trovato (uno in ferie, l’altro troppo occupato per una gara). Dopo essere tornato sui miei passi. Aver trovato finalmente un signore disposto ad aggiustarmi la gomma. Aspettato la riparazione. Pagato. Ricaricato la bici. Verificato,con dolore, che la gomma era di nuovo a terra. Sono dovuto tornare mesto-mesto (si erano fatte le 7 di sera) dall’amico Lido. L’uomo, il tecnico, l’esperto ha sentenziato: copertoni secchi, bisogna sostituire. D’altra parte sono vissuti 8 anni in un fienile, non si puo’ pretendere. Adesso ho 2 gomme nuove di fabbrica con battistrada “ibrido”, ½ strada e ½ da campagna: una sciccheria.

Cosi’ ho voluto strafare. Domenica avevo promesso al Teo e al suo amico Pietro di accompagnarli a Piedicavallo: loro avrebbero attaccato la salita che porta al rifugio Rivetti, io gironzolato nei paraggi (con l'eta', la lunga discesa mi fa venire male alle ginocchia). Invece, al posto degli scarponi, ho preso la bici e, nell’attesa degli alpinisti, ho provato la salita da Rosazza a Bielmonte: 13,5 km, 2 ore e 30 sul sellino, non so quale dislivello, ma a me e’ sembrato himalayano (media 5,2 km/h, facevo prima a piedi)

Sabato prossimo torno a Recetto e riprovo, piu’ attrezzato ed esperto, le strade di alzaia: se vuoi venire mi fara’ piacere, ma, ricorda, la strada la decido io, tu… pedali!

Tuo, Costante

domenica 13 luglio 2008

Tour in Slovenia - Passando dalla Carinzia



colazione agrituristica slovena

Una settimana di vacanze e un piccolo tour per la Slovenia. L’idea iniziale era di mio fratello Gianni: ci sono posti incantevoli! Cosi’ dal 6 (domenica) al 12 luglio 2008 (sabato), con Annamaria e Yulia, siamo andati in avanscoperta. La prima sera ci siamo fermati a Moena per salutare la signora Lia (mamma dell’amico Andrea e nostra ospite in altre occasioni).

Il giorno seguente la Yulia ha potuto stupire di fronte alle Dolomiti: passo Sella e Gardena con spuntino al lago di Anterselva. Ci aspettava il Santuario di Maria Luggau in Carinzia. Peccato il tempo. Appena arrivati in Lesachtal, dalle parti del Santuario, e' iniziato a piovere e ha smesso 24 ore dopo: martedi', verso le 16.

Martedi' 6 abbiamo passato la tarda mattina, e parte del pomeriggio, in un centro commerciale a Villach, aspettando il bel tempo che non arrivava. Cosi', in piena bufera, nel primo pomeriggio, siamo partiti per la Slovenia. Si vede che era destino. Varcato il confine e' ricomparso il sole, cosi' abbiamo potuto vedere, nel suo splendore, il massiccio del Triglav: parco nazionale sloveno. Ci siamo fermati per la notte a Bled, nei pressi del lago.

Il giorno dopo (mercoledi') ci siamo trasferiti a Boinj, altro lago, forse piu' bello del primo. Dopo aver percorso una strada di montagna che ha lasciato perplesse le due signore, siamo arrivati a Scofia Loka. Qui avevamo l'indirizzo di un agriturismo davvero bello: Pri Marku, diretto dalla Signora Betty. Visita alla citta'. Un borgo medievale con il suo castello.

Giovedi' siamo arrivati a Lubiana e abbiamo girato per il centro e non: visita all'Ente del turismo sloveno, dove non hanno risparmianto pieghevoli e guide. Nel pomeriggio - dopo aver pranzato con un gelato e 1/2 kg di lamponi comperati al mercato - siamo ripartiti per la Lagorsca Dolina (dolina=valle). Le signore avevano qualche dubbio che la strada fosse giusta perche', nonostante la fama, i luoghi erano un po' isolati. Comunque, anche qui, ospitalita' genuina (vedi sito).

Venerdi', giu' dalle valli. Autostrada. Tangenziale per evitare Lubiana e arrivare nel primo pomeriggio alle grotte di Postumia, che avevo visto da piccolo (piu' di 40 anni fa). Passaggio un po' difficoltoso dai 29 °C dell'esterno agli 8 della grotta. Dentro c'e' un trenino elettrico che percorre i primi 2 km, il 3° si fa a piedi con la guida (simpatica) che parla italiano e condisce la visita con riferimenti alla situazione politica della nostra nazione. Ricerca, un pelo piu' difficoltosa dei giorni precedenti, di un agriturismo in grado di accoglierci. Tuffo in piscina e cena con pure' di spinaci e stufato di "puledro". La Yulia non capisce cosa c'e' nel piatto. Quando glielo spieghiamo inorridisce ma finisce regolarmente la pietanza.

Sabato e' ora di tornare. Peccato una coda interminabile (forse 1 ora e mezza) a Latisana. Arriviamo a Biella in piena bufera: acqua, vento forte e grandine grossa. Ci fermiamo a ridosso di un muro ma non basta. Pare che i danni alla Touran ammontino a 2.400 €. Speriamo nell'assicurazione.

Note tecniche: la Touran percorre, nel misto, quasi 16 km con un litro! Abbiamo speso, per pernottamento e colazione, in media, 28 € a testa e 10 € al pasto. Non si puo' dire che siamo degli spendaccioni.

Qui per le fotografie

martedì 13 maggio 2008

Pellegrinaggio a S. Caterina del Sasso



Sabato 10 maggio 2008 ho inaugurato l'anno motorinistico. Sono partito alle 8.45 da Pollone e, verso le 13.30, dopo un panino ad Arona, sono arrivato a Stresa. Mi sono imbarcato e, 15 minuti dopo, sono arrivato all'eremo di S. Caterina del Sassoballaro (VA). Ho detto il S. Rosario davanti alle spoglie del Beato Alberto e sono ritornato - via Mottarone, Cremosina - alle 19 a casa: quasi morto di freddo.

Note tecniche: motorino Peugeot Vivacity 50 cc., di proprieta' di mio figlio Teo. Andata via Cossato, Romagnano, Grignasco, Boca, Borgomanero, Arona, Stresa. Ritorno attraverso Gignese, Gozzano, Cremosina, Borgosesia, Crevacuore. km totali circa 185.
Problemi: si brucia sempre la lampadina del faro anteriore, forse l'impianto elettrico non sopporta il mio peso moltiplicato i km!

Pellegrinaggio consigliato da Paola Mersi, che ringrazio della segnalazione.

Cliccate per vedere la fotogallery.

martedì 15 aprile 2008

Giussani legge Eliot


Valle del Cervo - Strada abbandonta vicino a Riabella (aprile 2008)

Occorrebbe mandare questa pagina di Giussani a tutti i nuovi e vecchi politici che - da domani - sederanno nei 2 rami del parlamento: e' il significato piu' vero di "moralità".

All'inizio del V° coro [Cori da "La rocca" 1934], Eliot scrive: «O Signore, difendimi dall'uomo che ha eccellenti intenzioni e cuore impuro: perché il cuore è su tutte le cose fallace, e disperatamente malvagio».
Le «eccellenti intenzioni» le chiameremmo adesso "virtù comuni", vale a dire l'atteggiamento morale o moralistico. Difendimi dall'uomo che vuol salvare i valori morali, ma ha il cuore impuro; il cuore impuro è quello che non riconosce il fatto da cui le virtù derivano. Se un intellettuale, per esempio, ha una grande stima dell'uomo, che è un fatto creaturale, naturale, ma non accetta, non riconosce che l'uomo è una creatura, che è stato creato, perciò non accetta l'oggettività dei dinamismi umani, allora, quale virtù sottolineerà questo intellettuale o questo leader? Sottolineerà le virtù che più gli importano: se, per esempio, è un uomo alla guida di un governo, sottolineerà le virtù che fanno comodo al suo governo, vale a dire che tendono a mantenere lo status quo. Invece cercherà di obliterare quelle che lo seccano, che gli creano complicazioni.

Un caso tipico è stato quello di un noto scrittore italiano, Italo Calvìno, il quale un po' di anni fa scrisse un articolo sul «Corriere della Sera» in cui magnificava la dignità dell'uomo. Ma la dignità dell'uomo da cosa deriva? Secondo quell'articolo di Calvino, deriva dalla formazione sociale: l'uomo è concepito in funzione della realtà sociale, è la realtà sociale che lo sviluppa e gli da dignità, perciò non si può parlare di diritti naturali. L'aborto, allora. Nessuno, infatti, ha diritto alla vita: perciò l'aborto è una cosa lecita, se la dignità è conferita alla persona dalla società e se la società decide che all'origine la persona deve avere un certo equilibrio psicofisico, altrimenti è meglio sopprimerla. Nessuno ha diritto di dire: «Io ci sono, non potete toccarmi». In questo caso Italo Calvino ha avuto eccellenti intenzioni, quelle di affermare la dignità dell'uomo, ma un cuore impuro perché non ha riconosciuto il fatto da cui deriva la dignità dell'uomo.

Tutti coloro che adesso affermano le cosiddette "virtù morali" agiscono in questo modo: hanno eccellenti intenzioni, ma un cuore impuro, perché la radice delle virtù comuni, ma anche delle virtù non comuni, è una realtà obiettiva che non dipende dalla società, ma dipende dal fatto creaturale per cui l'uomo è stato fatto da Dio.
Perciò: «O Signore, difendimi dall'uomo che ha eccellenti intenzioni». Una eccellente intenzione è quella di avere uno Stato tecnocraticamente a posto con una funzionalità industriale adeguata, e affermare il valore tecnocratico che è un fattore necessario per l'incremento e la potenza del popolo. Ma se in nome di tutto ciò si deve trascurare, per esempio, la gente che non ha determinate capacità ("de minimis non curat pretor"), o la gente che non ha determinate possibilità di difesa...

«O Signore difendimi dall'uomo che ha eccellenti intenzioni e cuore impuro: perché il cuore è su tutte le cose fallace, e disperatamente malvagio.»
È malvagio chi non riconosce, chi inventa, chi "fissa" lui. Proteggimi, perciò, dal nemico che ha qualcosa da guadagnare. Proteggimi dal nemico che ha qualcosa da guadagnare e dall'amico che ha qualcosa da perdere, cioè dall'amico che, fin quando gli vado bene e corrispondo, allora mi difende, quando non gli corrispondo più mi abbandona. Guardami dall'amico che ha qualcosa da perdere.

Luigi Giussani "Le mie letture" BUR Rizzoli Milano 1996 (pagine 118-120)

sabato 29 marzo 2008

Cosa ci è costato l'Ulivo e l'Unione?


Primavera a Pollone, regione Pratibei, nel Biellese

A ottantadue amici ho mandato questo articolo, con un messaggio: "se avessi le capacita', la cultura, la sensibilita', l'avrei scritto io! Leggetelo, mi ringrazierete..."

L'articolo e' tratto da Tempi (diretto da Luigi Amicone) del 27 marzo 2008

Prodi, Visco, Padoa-Schioppa, D’Alema, Bindi… La compagnia dei curatori fallimentari dell’azienda Italia si prepari a scomparire dalla storia politica di questo paese. O per lo meno dall’orizzonte di chi, su questa sfortunata caravella alla deriva nel Mediterraneo, rappresenta ancora l’ultimo marinaio che rema e resiste alla corrente magrebina, “l’invicibile Lombardo-Veneto” per dirla con Umberto Bossi.

La medaglia d’oro che i posteri appunteranno sulle giacche incartapecorite delle anime morte che in meno di tre lustri hanno eutanasizzato l’economia, la cultura, la società italiana, sarà una bella spilla su cui campeggeranno simboli vegetali. La quercia, l’ulivo, la margherita e, appiccicata per non dimenticare i meriti di Bertinotti, una colombella di pongo della pace. I curatori fallimentari sono la bava parlamentare (l’ultima, si spera) del combinato disposto giudici-collettivo giornalisti che negli anni Novanta rovesciò l’Italia come un calzino al solo scopo di macellare i partiti che, sia pur nel tanto difetto, permisero all’Italia di risorgere dalle ceneri della guerra e campare (e bene) fino ai magnifici anni di Tangentopoli. Anni in cui un poliziotto di cui un giorno non si ricorderà neanche il cognome (e di cui non si è mai capito come abbia fatto a prendere la laurea in tre anni e restituire i prestiti in scatole di scarpe invece che nei normali sportelli bancari) divenne l’eroe di una stagione di valori che stende le sue sporche mani pulite fino ai nostri giorni.

Tutto ciò solo per salvare un compagno G, l’ex-neo-post comunismo al rublo di Mosca, le scalate Telecom, il tesoretto di una coppietta di funzionari Unipol, una pletora di funzionari. E per veder crepare in terra straniera uno dei pochi statisti che l’Italia conobbe, l’Italia delle sempre ricorrenti pulsioni catto-sovietiche.

Ci fu, è vero, tra il 2001 e il 2005, la parentesi di un governo liberale, dopo il primo rovesciato dal regimetto scalfariano. Ma come è noto – sebbene il Cavaliere seguiti ancora oggi ad aggrapparsi all’Osservatorio di Siena per convincersi di aver onorato il “contratto con gli italiani” all’85 per cento – la parentesi del Berlusconi II finì sotto le Torri Gemelle, lo shock economico a seguire, i Casini della coalizione e, a dirla tutta, sotto il fuoco del doppio combinato disposto magistratura-girotondini/sindacato-corporazioni, che sciamò a milionate di cammellati in piazza, scialando i salari dei lavoratori italiani e le royalties dei compagni della nazionale comici&cantanti in adunate oceaniche di pensionati e antagonisti napoletani (e siamo ancora qui a parlare di “massacri polizieschi” al G8, roba da giornalisti della Striscia di Gaza).

Venne poi l’Unione seria e solidale. E come si sa, fu tenebra su tutta la terra. Oggi, primavera dell’Anno Domini 2008 in cui Roma è diventata la capitale di frontiera tra l’Europa e l’Africa, quel che resta delle settima potenza economica mondiale è un fanalino di coda che ticchetta su un’automobile in panne ferma sulla corsia d’emergenza. Un’automobile guidata da ubriachi che hanno travolto le forze produttive del paese e che, dopo aver messo sotto immondizia anche l’oro del sole e del mare di Napoli, hanno pure la faccia di bronzo di presentarsi come il “nuovo”.

Ora, nonostante il tasso alcolico dei conducenti del Pd sia ancora elevato, un bicchierino di buona grappa lo vogliamo lo stesso innalzare al prode Walter e a tutti quelli che, come lui, industriali, giornalisti, banchieri, sono stati volenterosi fiancheggiatori dello sfascismo italiano (che essendo a targa “de sinistra”, non poteva non regalare dividendi e stock option euromilionarie al peggior capitalismo di rapina).

Onore dunque a chi, dal ’94 in avanti, ha sostenuto con figurine Panini, festival, libagioni ed endorsement sui giornali lo splendido boiardo Iri, il cavolino di Bruxelles portato sull’onda degli editoriali di Economist e Financial Times per ben due volte al governo di Roma e per vendere le ultime robe italiane ai poteri forti d’Europa. Un brindisi che non ci viene suggerito dall’imbonitore di destra Silvio Berlusconi, ma dal professore di sinistra Luca Ricolfi. Perciò, onore, prosit e cin cin al fatto che «ancora nel 1995 il reddito pro capite dell’Italia era il 4,7 per cento in più rispetto al livello medio dell’Eurozona, oggi è il 6,2 per cento in meno».

Tempi

mercoledì 19 marzo 2008

Buona Pasqua con Anton Cechov


Il lago Kryvoye, nella Regione di Vitebsk (Bielorussia) da "Nad niebam Bielarusi" di A. Kliasciuk, Minsk 2005

Per gli auguri di Pasqua ci facciamo aiutare da un grande: Cechov.

Ivàn Velikopolski, studente dell’accademia ecclesiastica, figlio di un chierico, torna dalla caccia agli uccelli di passo. Il tempo, da principio, era bello, poi si e’ alzato un vento freddo che ha fatto gelare le pozzanghere: un clima quasi invernale, anche se siamo al Venerdi’ Santo.

Torna verso casa, stanco per la giornata di caccia e affamato per il digiuno. Sulla strada c’e’ la capanna di due vedove, Vassilissa la madre e Lukeria la figlia. Queste hanno acceso un fuoco nel cortile e Ivàn si ferma a scaldarsi un po’.

Senza una ragione apparente inizia a raccontare, alle due donne probabilmente analfabete, la notte tra il giovedi’ e il venerdi’ santo di Simon Pietro e il suo triplo tradimento del Maestro.

Termina il racconto con le parole del Vangelo: « E usci’ fuori piangendo amaramente».

Ma lasciamo raccontare Cechov:

Lo studente sospirò e si fece pensoso. Continuando a sorridere, Vassilissa a un tratto singhiozzo’, delle lacrime, grosse, copiose, le corsero per le guance, ed ella con la manica si fece schermo al viso contro il fuoco, come vergognandosi delle proprie lacrime, mentre Lukeria, guardando immobile lo studente, arrossì, e la sua espressione si fece penosa e tesa, come quella di una persona che reprima un violento dolore.

Lo studente augurò buona notte alle vedove e andò oltre. E di nuovo lo avvolsero le tenebre ed egli si sentì le mani intirizzite. Soffiava un vento atroce, in realtà stava tornando l'inverno e non si aveva l'impressione che posdomani sarebbe stata Pasqua.

Ora lo studente pensava a Vassilissa: se si era messa a piangere, ciò voleva dire che quanto era accaduto in quella notte a Pietro aveva qualche rapporto con lei...
Si voltò a guardare. Il fuoco solitario brillava calmo nell'oscurltà e accanto a quello non si vedeva più nessuno. Lo studente pensò di nuovo che, se Vassilissa si era messa a piangere e sua figlia si era turbata, evidentemente ciò che egli poc'anzi aveva raccontato, ciò che era avvenuto diciannove secoli addietro, aveva un legame col presente: con le due donne e, probabilmente, con quella campagna deserta, con lui stesso, con tutti gli uomini. Se la vecchia aveva pianto, non era stato perché egli sapesse raccontare in modo commovente, ma perché Pietro le era caro e perché ella, con tutto l'essere suo, aveva interesse a ciò che era avvenuto nell'anima di Pietro.
E la gioia tutt'a un tratto si rimescolò nel suo cuore, ed egli si fermò perfino un momento, per riprender fiato. Il passato - pensava - è legato al presente da una catena ininterrotta di eventi scaturiti uno dall'altro. E gli pareva di aver veduto dianzi entrambi i capi di questa catena: ne aveva appena toccato un capo, che l'altro aveva dato un sobbalzo.

E mentre traghettava il fiume sulla chiatta e poi, procedendo in salita, guardava il suo villaggio natio e verso occidente, dove splendeva la striscia sottile di un freddo tramonto di porpora, egli pensava che la verità e la bellezza che avevano indirizzato la vita umana laggiù, nell'orto e nel cortile del Gran Sacerdote, erano continuate senza interruzione fino ad oggi ed evidentemente avevano sempre costituito l'essenziale nella vita umana e, in genere, sulla terra; e un senso di giovinezza, di salute, di forza - egli non aveva che ventidue anni - e l'attesa inesprimibilmente dolce della felicità, di una sconosciuta, misteriosa felicità, si andavano impossessando di lui a poco a poco, e la vita gli pareva affascinante, prodigiosa e colma di un alto significato.


tratto da "Lo studente" di A. Cechov in "Racconti" volume 2°, Bur Classici - Milano 2002

lunedì 17 marzo 2008

L'intervento di don Carròn

Don Carron, con questo articolo, comparso su El Mundo il 29 dicembre 2007, ha indirettamente e magistralmente risposto a quanto avevo chiesto con la lettera che compare sotto. La traduzione e' del "Foglio" di Giuliano Ferrara.

Siamo di fronte a un fatto strano. Indiscutibile. L'appello a intervenire alla manifestazione di questa domenica (30 dicembre 2007) nella Plaza de Colón di Madrid ha suscitato un moto di adesione in moltissime persone, desiderose di riunirsi per testimoniare gioiosamente davanti a tutti il bene che per loro significa la famiglia. Non dovremmo sottovalutare questa risposta.

Da decenni continuiamo a ricevere messaggi che vanno nella direzione opposta: molte serie televisive, film e molta letteratura ci mettono davanti il contrario. Davanti a questo impressionante spiegamento di mezzi, parrebbe normale che la famiglia avesse smesso di interessare. Invece c'e qualcosa che siamo costretti a riconoscere quasi con sorpresa: questo impressionante apparato ha dimostrato di non essere piu’ potente dell'esperienza elementare che ciascuno di noi ha vissuto nella propria famiglia, l'esperienza di un bene. Un bene del quale siamo grati e che vogliamo trasmettere ai nostri figli per condividerlo con loro.


Valeria e Matteo novembre 1996

Qual è l'origine di questo bene di cui siamo così grati? E' l’esperienza cristiana. Non è sempre stato così, come testimonia la reazione dei discepoli la prima volta che sentirono Gesù parlare del matrimonio. "Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «E' lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina?». E aggiunse: «Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». I discepoli gli dissero: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». (Mt 19,3-6-10)
Non dobbiamo sorprenderci, quindi. La stessa cosa che a tanti oggi, e spesso a noi stessi, appare impossibile, tale appariva anche ai discepoli. Solo la grazia di Cristo ha reso possibile vivere la natura originale della relazione fra l'uomo e la donna.

E' importante guardare a questa origine per poter rispondere alle sfide che dobbiamo affrontare. Noi cattolici non siamo diversi dai più: molti fra noi hanno problemi nella vita familiare. Dolorosamente constatiamo come fra noi vi siano molti amici che non sono perseveranti di fronte alle numerose difficoltà esterne e interne che attraversano. E quanto a noi, non è sufficiente conoscere la vera dottrina sul matrimonio per resistere a tutte le tentazioni della vita. Ce lo ha ricordato il Papa: "Le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L'uomo non può mai essere redento semplicemente dall’esterno"(Spe salvi, 25).

Dobbiamo far nostro quello che abbiamo ricevuto per poterlo vivere nella nuova situazione che siamo tenuti ad affermare come ci invita Goethe: "Ciò che hai ereditato dai tuoi padri devi conquistarlo di nuovo per possederlo veramente". Per riappropriarci veramente dell’esperienza della famiglia dobbiamo imparare che "la questione del giusto rapporto tra l'uomo e la donna - come ha detto Benedetto XVI - affonda le sue radici dentro l'essenza più profonda dell'essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: “chi sono? che cosa è l'uomo?". Davvero la persona amata ci rivela "il mistero eterno dell'esser nostro". Nulla ci risveglia talmente, e ci rende così coscienti del desiderio di felicità che ci costituisce, quanto l'esperienza di essere amato. La sua presenza è un bene cosi grande che ci fa rendere conto della profondità e della vera dimensione di questo desiderio: un desiderio infinito.

Le parole di Cesare Pavese sul piacere sì possono applicare alla relazione amorosa: "Quello che l'uomo cerca nel piacere è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito". Un io e un tu limitati si suscitano reciprocamente un desiderio infinito e si scoprono lanciati dal proprio amore verso un desiderio infinito. In questa esperienza, a entrambi si svela la propria vocazione.

Per questo i poeti hanno visto nella bellezza della donna un "raggio divino", ossia un segno che rimanda più oltre, a un'altra cosa più grande, divina, incommensurabile rispetto al suo limite naturale. La sua bellezza grida di fronte a noi: "Non sono io. Io sono solo un promemoria. Guarda! Guarda! Che cosa ti ricordo?". Con queste parole il genio di C.S. Lewis ha sintetizzato la dinamica del segno, di cui la relazione fra l'uomo e la donna costituisce un esempio commovente! Se non comprende questa dinamica, l'uomo cede all'errore di fermarsi alla realtà che ha suscitato il desiderio. E la relazione finisce per diventare insopportabile.

Come diceva Rilke, "questo è il paradosso nell'amore tra l'uomo e la donna; due infiniti trovano due limiti. Due infinitamente bisognosi di essere amati trovano due fragili e limitate capacità di amare. Solo nell'orizzonte di un Amore più grande non si divorano nella pretesa, ne si rassegnano, ma camminano insieme verso la pienezza di cui l'altro è segno".

In questo contesto si può comprendere l'inaudita proposta di Gesù perché l'esperienza più bella della vita, innamorarsi, non decada sino a trasformarsi in una pretesa soffocante. "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,37.39). Con queste parole Gesù rivela la portata della speranza che la sua persona costituisce per coloro che lo lasciano entrare nella propria vita. Non si tratta di una ingerenza nei rapporti più intimi, ma della più grande promessa che l'uomo ha potuto ricevere: se non si ama Cristo - la Bellezza fatta carne - più della persona amata, questo rapporto appassisce. E’ Lui la verità di questo rapporto, la pienezza alla quale i due reciprocamente si rinviano e nella quale il loro rapporto si realizza pienamente. Solo permettendogli di entrare in essa, è possibile che la relazione più bella che accade nella vita non decada e col tempo muoia. Noi sappiamo bene che tutto l'impeto col quale uno si innamora non basta a impedire che l’amore col tempo, si corrompa. Questa è l'audacia della sua pretesa.

Appare quindi in tutta la sua importanza il compito della comunità cristiana: favorire una esperienza del cristianesimo per la pienezza delta vita di ciascuno. Solo nell'ambito di questa relazione più grande è possibile non divorarsi, perché ciascuno trova in essa il suo compimento umano, sorprendendo in se stesso una capacità di abbracciare l'altro nella sua diversità, di una gratuità senza limiti, di un perdono sempre rinnovato. Senza comunità cristiane capaci dì accompagnare e sostenere gli sposi nella loro avventura, sarà difficile, se non impossibile, che la portino a compimento felicemente.

Gli sposi, a loro volta, non possono esimersi dal lavoro di una educazione - della quale sono i protagonisti principali -, pensando che appartenere all’ambito della comunità ecclesiale li liberi dalle difficoltà. In questo modo si rivela pienamente la natura della vocazione matrimoniale: camminare insieme verso l’unico che può rispondere alla sete di felicità che l'altro risveglia costantemente in me, cioè verso Cristo. Cosi’ si eviterà di passare, come la Samaritana, di marito in marito (cfr. Gv 4,18) senza riuscire a soddisfare la propria sete. La coscienza della sua incapacità a risolvere da sola il proprio dramma, nemmeno cambiando cinque volte marito, le ha fatto percepire Gesù come un bene così desiderabile da non poter fare a meno di gridare: "Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete".

Senza l'esperienza di pienezza umana che Cristo rende possibile, l'ideale cristiano del matrimonio si riduce a qualcosa di impossibile da realizzare. L'indissolubilità del matrimonio e l'etenita’ dell'amore appaiono come chimere irraggiungibili. E in realtà esse sono frutti tanto gratuiti di una intensità di esperienza di Cristo che appaiono agli stessi sposi come una sorpresa, come la testimonianza che “a Dio nulla e’ impossibile”. Solo una tale esperienza puo’ mostrare la razionalita’ della fede cristiana, come una realta’ che corrisponde totalmente al desiderio e alle esigenze dell’uomo, anche nel matrimonio e nella famiglia.

Un rapporto vissuto in questo modo costituisce la miglior proposta educativa per i figli. Attraverso la bellezza della relazione fra i genitori, essi vengono introdotti, quasi per osmosi, al significato dell’esistenza. Nella stabilita’ di questa relazione la loro ragione e la loro liberta’ vengono costantemente sollecitate a non perdere una tale bellezza. E’ la stessa bellezza, che risplende nella testimonianza degli sposi cristiani, che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare.

Juliàn Carròn

sabato 15 marzo 2008

Lettera a don Julian


Pollone (BI) S. Stefano 2007

Carissimo don Juliàn,

sono di fronte al fallimento di molti matrimoni. Amici e parenti, anche dopo molti anni, si lasciano o vivono nella stessa casa senza avere nulla da condividere. Queste persone non sono peggio di me, spesso, umanamente, sono affascinanti e buone. Traggono criteri e giudizi sull’esistenza dalla cultura dominante: Io sono una somma di desideri da soddisfare. Noi, che abbiamo incontrato – non per merito - il Movimento e la sua grande esperienza educativa, sappiamo che “Io, sono Tu che mi fai”. Se sei Tu che mi costruisci, puoi decidere di farmi attraversare momenti duri e di insoddisfazione che sono, comunque, la possibilita’ della felicita’ presente e futura. Ricordo la sintesi dei Promessi sposi – vado a memoria – “i guai quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore”.

Con la mia sposa non sono unito solo da un sentimento che prima c’era e adesso – magari - svanisce, ma perche’ Qualcuno ci ha messo insieme. Ci ha fatti incontrare, in un lontano mattino di ottobre del 1981, e non ci ha abbandonato piu’. Questo ho imparato – non senza l’impegno di intelligenza e volonta’ - dai libri del don Gius e dalla vita dei miei amici, Lei per primo.

A Mosca – alla fine di ottobre - siamo stati ricevuti alla Biblioteca dello Spirito (Duhovnaya Biblioteka) da Padre Scalfi. Ha ripercorso un po’ di storia dei cristiani dell’epoca sovietica. Raccontava che un gruppo di intellettuali si era ritrovato e, di fronte alle barbarie e alla menzogna imperante, si chiedeva: cosa possiamo fare? Uno di loro si e’ alzato e ha detto: la domanda e’ sbagliata! Dobbiamo chiederci: come essere? Annamaria (mia moglie) e io, di fronte alla difficolta’ delle famiglie che conosciamo, capiamo che fare qualcosa e’ difficilissimo, a volte, persino controproducente. Loro guardano a noi: come ci trattiamo, come ci poniamo con i figli, come viviamo l’amicizia o l’accoglienza, il modo con cui usiamo i soldi o il tempo… Siamo testimoni, non a parole, ma con la vita; non un’ora ma per la durata dell’esistenza, e questo nonostante tutte le nostre incapacita’, ingenuita’ e tradimenti.

Sempre a Mosca, al termine della grande festa in occasione dell’entrata in Diocesi del nuovo Arcivescovo, ha preso la parola Don Camisasca. Ha parlato pochissimo, ha detto che dobbiamo aiutare, nella sua affascinante e difficile missione, il nuovo Vescovo, ma aiutare e’ mestiere arduo, la cosa piu’ importante – e sempre possibile – e’ pregare per Lui.

Di fronte alla difficolta’ dei rapporti famigliari, senza essere specialisti, abbiamo – penso - una responsabilita’: testimoniare, con quello che siamo, che e’ possibile una vita coniugale felice e pregare per quelli meno fortunati (o piu’ distratti, o piu’ superficiali), che possano un giorno restare colpiti da un incontro con un pezzo di realta’ cambiata, meno conforme alla cultura dominante, piu’ corrispondente alle esigenze del cuore. Pregare poi per noi, che non abbiamo mai a tradire definitivamente la strada intrapresa e che gli amici non rinuncino a educarci con la loro vita fedele a Cristo e alla Chiesa.

Fraternamente in Gesu’ Cristo, suo

Costante Giacobbe

Gli amici rispondono

Grazie, caro amico, mi hai fatto pensare immediatamente a tante cose che forse non avrei detto e che invece penso di dire (o scrivere, prima devo pensarci). Sono cose che accadono ma che hanno bisogno di essere paragonate, bisognose di un giudizio. Mi accorgo che tante volte me le macino fra me e me, invece di raccontare la vita. Cosa che tu stai facendo. A presto...
A.

Grazie per la bella testimonianza. Effettivamente mi rendo sempre più conto
che tutto nella vita è grazia e per questo la preghiera oltre che domanda
dovrebbe essere lode.
B.

Grazie Costante, per la sincerità e bellezza dela tua testimonianza.
Anche noi siamo toccati dallo spettacolo triste di famiglie vicine che si disgregano, e siamo come impotenti, di quel'impotenza cristiana che tu dici.
Un abbraccio grande
C.

Grazie Costante.
Vivere umanamente è possibile. Questa è l'umile certezza che la storia del
Signore nella mia storia ha costruito e sta costruendo. DENTRO i limiti miei
e degli altri, Cristo rende continuamente possibile questo miracolo. Sua è
la Potenza, Sua è la Gloria.
Ti abbraccio
D.

Caro D. e caro Costante, iniziare la settimana in questo modo è veramente accorgersi che nonostante tutto (i magoni e le tensioni continue) è possibile accorgersi della Presenza ed in questo è insostituibile la Vs. amicizia. Non ho parole migliori che possano descrivere il mio grazie, a Voi , a chi mi aiuta come voi ed al caro nostro don Giuss. Vi abbraccio con tanto affetto.
E.

Caro Costante, questi sono tempi difficili per F. e me... fatichiamo
molto, ma soprattutto io tante volte mi sento inadeguato, mi sento fragile
di fronte alle sue esigenze, e in certi momenti mi coglie un senso di
pesantezza e disperazione, come se avessi sbagliato tutto... Mi giungono in
soccorso le tue parole, come quelle di Padre M. da Roma, che mi
ricordano che una pienezza è possibile anche laddove quotidianamente si
sente il peso del peccato originale, che una felicità "per sempre" è
possibile anche quando ci si sente inadeguati ad affrontare i 60 minuti
successivi...
Per queste tue parole, mai così tempestive per la mia vita, ti voglio
ringraziare ma soprattutto ringrazio Dio, che ci ha fatto incontrare!
G.

mercoledì 27 febbraio 2008

Piu' docile, piu' disponibile


Fontaine en Vaucluse - Provence luglio 2006.

Questa e' una lettera che ho mandato, pochi giorni fa, a un amico. Tra l'altro scrivevo.


...Volevo pero’ farti partecipe di quanto mi e’ successo alcuni anni fa. Con il senno di poi, e l’educazione della nostra Compagnia, la difficolta’ ha portato una fede e una speranza piu’ grandi. Nel 2001 il mio nemico giurato e’ diventato il mio capo. Caratterialmente non era simpatico, ma la cosa che mi ha toccato di piu’ e’ stato il tentativo di chiudere la mia esperienza professionale. Ero alla Comunita’ montana da 20 anni e piu’. Avevo, con l’aiuto di molti, costruito qualcosa. Mi insegni che costruire e’ terribilmente difficile: lacrime, sudore, soldi (sangue). M (cosi’ si chiamava) voleva demolire tutto e ricominciare, non dalla storia, ma dai suoi pallini.

Per fortuna e’ durato poco ma, vuoi lui, vuoi l’eta’ (mi avvicinavo ai 50, il testosterone iniziava a calare), mi hanno lasciato per anni un’ansia che si attenua, ma, credo, non mi lascera’ piu’.

Non e’ stato facile. L’Annamaria mi ha aiutato moltissimo, ma piu’ di tutto ha fatto l’educazione del Movimento. Ancora non troppi mesi fa, sono rimasto fulminato dall’immaginetta del Don Gius. Era stata una mattinata terribile e confusa – da anni in ufficio si lavora tanto e tanto male -, verso mezzo giorno l’occhio mi cade sulla frase di Gregorio Nazianzeno: «Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita». Un pugno. Un riconoscimento mai avvertito: se non fossi tuo sarei smembrato, triturato, non sarei nemmeno annoverato tra gli uomini. Ma sono tuo, qualunque cosa accada: insuccesso, derisione, persino un licenziamento con ignominia, saro’ sempre amato e “dei tuoi”.

Capita, nella vita, quello che deve capitare, succede sempre per un di piu’. Dormivo poco, pregavo di notte. Certi momenti ero bloccato, mi affidavo completamente a Lui. Ho, con fatica, a volte con terrore, sentito sempre piu’ che un Altro mi faceva, squartando letteralmente la mia vecchia struttura. Oggi saro’ il peccatore di sempre, ma sicuramente piu’ docile, piu’ disponibile.

Il Signore da’ la prova (purtroppo), ma da’ la forza per sopportarla. Che i tuoi amici (io compreso) sappiano testimoniarti con la loro vita, “il bisogno di una educazione che ci consenta di conoscere la realta’ fino in fondo… domandiamo a Don Giussani di continuare a farci compagnia sulla strada che ci ha tracciato”, come ci ha scritto Don Carron nell’ultima lettera alla Fraternita’.

Con amicizia.

Costante

Pollone 4 febbraio 2008

martedì 26 febbraio 2008

Alla Schneider a "vedere" la lezione della memoria


Giovedi' 31 gennaio 2008 e' comparso - sul giornale Eco di Biella - questo articolo sulla Mostra che il Centro Culturale Piola ha presentato su Vasilij Grossman.

L’altra settimana, nell’ambito del Giorno della Memoria, a Villa Schneider è stata inaugurata la mostra documentaria del capolavoro dal titolo “Vita e destino, il romanzo della liberta’ e la battaglia di Stalingrado” che illustra il capolavoro di Vasilij Grossman “Vita e destino”. Nell’occasione l’assessore Salivotti, che ha fornito un prezioso contributo per la realizzazione dell’evento, ha ricordato come la cultura non ha bandiera politica, ma costituisce un contributo insostituibile al dialogo ed alla costruzione di una società più giusta. Ha poi ringraziato gli organizzatori per l’opportunità che la mostra gli ha offerto di scoprire il capolavoro di Grossman. E’ intervenuto ancheil professor Michele Rosboch (università di Torino) presidente del Centro Culturale “Piergiorgio Frassati” uno dei curatori della mostra che ha raccontato come l’ idea della mostra sia nata durante una cena, tra amici che, condividendo una compagnia cristiana, desideravano, per sé e per altri, approfondire la “provocazione” che il volume, drammaticamente, contiene. E ha documentato come questo tentativo abbia costituito una grande occasione di incontro con tutti. Innanzitutto con la Comunità Ebraica di Casale, nella persona della Sig.ra Claudia de Benedetti, che della Comunità è Presidente.In rappresentanza di questa comunità è poi intervenuta Claudia Calcagno, il cui intervento, nella sua interezza, è riportato di seguito. Infine Costante Giacobbe, appassionato cultore della cultura russa, e di Grossman in particolare, ha introdotto la mostra con una breve, ma vibrante, visita guidata.
Non si sono sentite parole formali o di circostanza. Si è creata invece, tra i tanti partecipanti, una simpatia immediata e profonda di fronte alla presentazione di un capolavoro che ha il pregio di porre il lettore di fronte alla più dura e disumana realtà del ventesimo secolo e, contemporaneamente, alle domande più profonde e personali sul senso della realtà e di se stessi. Grossmann parla di noi, in modo sorprendentemente attuale. E’ un libro che bisogna leggere, è una mostra che bisogna vedere.

Paolo Ramaioli

Guarda la fotogallery di Paolo Ramaioli Mostra Vasilij Semenovic

venerdì 18 gennaio 2008

Giornata della memoria 2008

La Mostra su Vita e destino apre mercoledi' 23 gennaio 2008, alle ore 18. Il Centro Culturale Vittorio Piola vi invita cordialmente a visitarla. Cliccate sulla foto per maggiori informazioni.