venerdì 15 agosto 2008

Il lavoro: c'e' un mondo da finire

Oggi, festa dell'Assunzione di Maria SS., oso mettere a tema "il lavoro". Il tempo dell'azione (anche un pensiero e' un'azione, ci ricordava sempre Don Giussani), dal risveglio a quando ci si addormenta di nuovo. 16-18 ore al giorno: ufficio, famiglia e tutto quello che si riesce a fare per collaborare con il Padre a completare il mondo e la nostra vita. Lo faccio pubblicando 2 "pezzi". Il primo e' di Padre Michail Scik: ebreo russo, convertito all'ortodossia, diventato sacerdote, mandato al confino, nuovamente arrestato e fucilato nel famigerato poligono di Butovo (sud di Mosca), il 27 settembre 1937. Il secondo e' di Don Massimo Camisasca: prete lombardo, allievo di Don Giussani, fondatore della Fraternita' Sacerdotale S. Carlo Borromeo, che ha sede a Roma. Saro' grato a chi collaborera' a rendere ancora piu' importante questa trattazione.

Ricordando mio padre
di Elisaveta Scik

Vorrei citare alcuni brani di una lettera di padre Michail proprio ad Anna Dmitrievna, la sorella della mamma: «Credo di capire la tua malattia, perché l'ho vista anche in Natasa nei primi anni della nostra vita matrimoniale. Lei ne è guarita grazie alla maternità… Stai male perché il lavoro non ti da la pace interiore che deriva dalla coscienza del dovere compiuto..., ma al contrario ti rende inquieta. Tu stessa stai giustamente scoprendo che una delle cause di questa inquietudine è che affronti il tuo lavoro con un ardente senso di amor proprio. Questo sentimento non trova mai (il corsivo e' dell'autore) soddisfazione e instilla inquietudine nel tuo cuore...


Padre Scik - foto segnaletica per il carcere

Nell'opera della nostra salvezza il lavoro, che vince tutte le tentazioni legate all'ozio, è molto importante. E’ importante, ma non deve stare al primo posto. Il primo comandamento che ci ha dato il Signore è: "Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima", ossia rendi il tuo cuore, il tuo edifìcio interiore, un altare, dove venga glorificato incessantemente il nome di Dio. Di conseguenza, il primo dovere del cristiano è stare attento a se stesso, e tenere in ordine l'altare del proprio cuore con la preghiera e l'amore al prossimo, che è il secondo precetto evangelico. Il lavoro, invece, viene dopo, e pecca gravemente contro le regole di una sana vita interiore cristiana chi nelle proprie premure e nel proprio agire mette il lavoro a un posto che non gli spetta. Così facendo, neppure il lavoro ci guadagna ma, anzi, viene inevitabilmente infestato da pensieri, sentimenti e desideri vani…

Ho detto che il lavoro è solo al secondo posto, sì, proprio al secondo, ma non al terzo, al quarto…, perché se lo si fa retrocedere dal secondo posto, nel vuoto che ha lasciato, si insinuano la pigrizia, la trascuratezza e altri vizi... In cosa consiste, allora, un atteggiamento coscienzioso dal punto di vista cristiano verso il proprio operare? Nel fare tutto ciò che è richiesto, e anche di più, senza lesinare gli sforzi, ma anche senza fissarsi sui risultati».

“La Nuova Europa” trimestrale RC Edizioni, n° 4-2008 pag. 75 – Seriate (BG)

Il lavoro, la strada per imparare ad amare
di Massimo Camisasca

Il secolo ventesimo sarebbe dovuto essere il secolo del lavoro. E, in un certo senso, lo è stato. Il lavoro è diventato tema di studi, di lotte, di guerre, ha segnato la nascita di partiti e di associazioni. Interi movimenti che hanno attraversato il secolo si sono ispirati alla promozione dei lavoratori, come, per esempio, il movimento comunista, quello socialista e quello cattolico. Ci sono stati però anche milioni e milioni di lavoratori uccisi, perché non rientravano nello schema della rivoluzione programmata. Il nazismo, poi, ha fatto scrivere sarcasticamente sulla porta di Auschwitz «il lavoro rende liberi». Anche la Chiesa ha parlato di lavoro ai lavoratori. Soprattutto dopo Leone XIII, esso ha occupato una parte importante nella dottrina sociale che si è andata sviluppando e diffondendo anche attraverso le grandi encicliche di Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, e Paolo VI.
Ma, più in generale, il novecento ha visto, soprattutto nella sua seconda parte, un grande offuscarsi del senso e del gusto per il lavoro. Ritengo che questo sia uno dei mali più gravi della nostra società. Perché qualunque vocazione si abbia, il lavoro decide della nostra vita. Quando manca il lavoro, l’uomo non può esprimere se stesso, perde il rapporto con la realtà, non si sente amato e non ama.
È stato certamente uno dei tanti meriti del magistero di Giovanni Paolo II, che era stato operaio negli anni della sua giovinezza, di riportare al centro dell’attenzione degli uomini la realtà del lavoro e della sua contraffazione. E certamente vi è una profonda similitudine tra ciò che ha detto Giovanni Paolo II e il cuore del magistero di don Giussani sul lavoro, raccolto nel volume L’io il potere, le opere.
Dedichiamo al lavoro questo numero di Fraternità e Missione di luglio, mese estivo, mese di vacanza, proprio perché in vacanza possiamo pensare al senso del nostro tempo lavorativo.

I. Un rapporto creativo
Il lavoro dell’uomo, qualunque esso sia, non riguarda un aspetto marginale della sua personalità. L’uomo matura attraverso il lavoro, perché attraverso di esso prende coscienza di se stesso e della realtà, da cui dipende, ma che può anche contribuire a cambiare e a trasformare. Si capisce perciò come mai il lavoro coincida con la nostra vocazione.
Quando la persona non è stata educata a lavorare, o di fatto non può lavorare, rimane come rattrappita, si chiude su se stessa, non conosce più la vita e la promessa d’infinito, la speranza che vi è contenuta. Invece, attraverso il lavoro l’uomo entra in rapporto con le persone e le cose. Accade sempre così, sempre l’uomo necessita di un rapporto creativo con la realtà.
Il suo conoscere se stesso e il mondo procedono assieme.

II. Purificazione
Quando Adamo ed Eva vengono cacciati dal paradiso terrestre, Dio, che aveva posto l’uomo nel giardino dell’Eden perché lo custodisse e lo coltivasse (Gn 2,15), rivolge a loro delle parole molto significative e terribili. Dice che a causa della loro disobbedienza, il suolo della terra sarebbe stata maledetto. Avrebbe dato ancora i suoi frutti, ma attraverso il duro lavoro. Il pane avrebbe richiesto il sudore del volto (Gn 3,17-19). Proprio queste parole ci spiegano la stretta relazione fra l’uomo, il lavoro, e Dio. Non soltanto attraverso il lavoro conosciamo noi stessi, non soltanto partecipiamo all’opera della creazione, ma, più in profondità, realizziamo quella purificazione che ci fa tornare a Dio. Dio ci chiama a servire il suo disegno attraverso il lavoro.
Il lavoro non è dunque soltanto condanna. Non è soltanto fatica, peso. Tutto ciò è una condizione inevitabile, ma non l’essenza. Purtroppo oggi molti sono chiusi a una considerazione intera del lavoro, e vedono soltanto la fatica, e cercano di sfuggire ad essa. Ma in questo modo, sfuggono alla loro crescita umana. L’uomo infatti non ha mai un rapporto soltanto speculativo con la realtà, e neppure uno ludico. Non pensa soltanto e non gioca soltanto, ma vuole anche creare e trasformare. Per questo Dio ha creato un mondo incompiuto e ha affidato all’uomo il suo compimento.

III. Entrare nell’opera di Dio
Ma ancora di più, per coloro che credono, che sono stati battezzati, il lavoro è la strada fondamentale per la loro partecipazione all’edificazione del corpo di Cristo. Attraverso di esso, quando è vissuto nella memoria di Cristo, le cose ritrovano lentamente il loro posto, le persone il senso della loro vita, il creato l’unità perduta nel peccato originale. Non è un caso che san Benedetto abbia legato la preghiera al lavoro, vedendoli non come due momenti successivi della giornata, ma come due espressioni della nostra vita che si integrano e si correggono a vicenda. Non si può vivere infatti solo per lavorare, non si può sacrificare tutto al lavoro. Esso non è un bene assoluto, serve in quanto porta l’uomo a collaborare al disegno del creatore, ad entrare nell’opera di Dio, a partecipare all’edificazione del Regno. Per questo il silenzio all’inizio della giornata ha un peso decisivo ed è ancora più importante di quello della sera.
Il desiderio del lavoro unito a quello del giusto riposo è l’espressione di una vita cristiana sana. Non ci può essere vita cristiana senza desiderio di lavoro. è per me un’esperienza terribile vedere persone che hanno come ideale della vita lavorare meno, o non lavorare affatto, persone terrorizzate dalla fatica, che non sentono bruciare dentro di sé la passione per l’incompiutezza del mondo.

IV. Servire Cristo
Il lavoro è la strada fondamentale della nostra partecipazione all’edificazione del corpo di Cristo. Questo è infatti il senso esauriente dell’esistenza: servire Cristo.
La strada per imparare ad amare è cominciare a servire. È proprio la quotidianità del servire che fa entrare nel ritmo dell’amore. Il ritmo dell’amore vero, dell’amore maturo, è la fedeltà. Soltanto il servire fa entrare in questo ritmo. A poco a poco non ci si accorge quasi neanche più di servire. Ci si accorge soltanto di amare.
Attraverso questa strada, la quotidianità del lavoro, si realizza la cosa più grande che esista al mondo: si impara ad amare Cristo.

Fraternità e Missione, il mensile della Fraternita san Carlo
luglio 2008

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