sabato 15 marzo 2008

Lettera a don Julian


Pollone (BI) S. Stefano 2007

Carissimo don Juliàn,

sono di fronte al fallimento di molti matrimoni. Amici e parenti, anche dopo molti anni, si lasciano o vivono nella stessa casa senza avere nulla da condividere. Queste persone non sono peggio di me, spesso, umanamente, sono affascinanti e buone. Traggono criteri e giudizi sull’esistenza dalla cultura dominante: Io sono una somma di desideri da soddisfare. Noi, che abbiamo incontrato – non per merito - il Movimento e la sua grande esperienza educativa, sappiamo che “Io, sono Tu che mi fai”. Se sei Tu che mi costruisci, puoi decidere di farmi attraversare momenti duri e di insoddisfazione che sono, comunque, la possibilita’ della felicita’ presente e futura. Ricordo la sintesi dei Promessi sposi – vado a memoria – “i guai quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore”.

Con la mia sposa non sono unito solo da un sentimento che prima c’era e adesso – magari - svanisce, ma perche’ Qualcuno ci ha messo insieme. Ci ha fatti incontrare, in un lontano mattino di ottobre del 1981, e non ci ha abbandonato piu’. Questo ho imparato – non senza l’impegno di intelligenza e volonta’ - dai libri del don Gius e dalla vita dei miei amici, Lei per primo.

A Mosca – alla fine di ottobre - siamo stati ricevuti alla Biblioteca dello Spirito (Duhovnaya Biblioteka) da Padre Scalfi. Ha ripercorso un po’ di storia dei cristiani dell’epoca sovietica. Raccontava che un gruppo di intellettuali si era ritrovato e, di fronte alle barbarie e alla menzogna imperante, si chiedeva: cosa possiamo fare? Uno di loro si e’ alzato e ha detto: la domanda e’ sbagliata! Dobbiamo chiederci: come essere? Annamaria (mia moglie) e io, di fronte alla difficolta’ delle famiglie che conosciamo, capiamo che fare qualcosa e’ difficilissimo, a volte, persino controproducente. Loro guardano a noi: come ci trattiamo, come ci poniamo con i figli, come viviamo l’amicizia o l’accoglienza, il modo con cui usiamo i soldi o il tempo… Siamo testimoni, non a parole, ma con la vita; non un’ora ma per la durata dell’esistenza, e questo nonostante tutte le nostre incapacita’, ingenuita’ e tradimenti.

Sempre a Mosca, al termine della grande festa in occasione dell’entrata in Diocesi del nuovo Arcivescovo, ha preso la parola Don Camisasca. Ha parlato pochissimo, ha detto che dobbiamo aiutare, nella sua affascinante e difficile missione, il nuovo Vescovo, ma aiutare e’ mestiere arduo, la cosa piu’ importante – e sempre possibile – e’ pregare per Lui.

Di fronte alla difficolta’ dei rapporti famigliari, senza essere specialisti, abbiamo – penso - una responsabilita’: testimoniare, con quello che siamo, che e’ possibile una vita coniugale felice e pregare per quelli meno fortunati (o piu’ distratti, o piu’ superficiali), che possano un giorno restare colpiti da un incontro con un pezzo di realta’ cambiata, meno conforme alla cultura dominante, piu’ corrispondente alle esigenze del cuore. Pregare poi per noi, che non abbiamo mai a tradire definitivamente la strada intrapresa e che gli amici non rinuncino a educarci con la loro vita fedele a Cristo e alla Chiesa.

Fraternamente in Gesu’ Cristo, suo

Costante Giacobbe

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